Con l’ordinanza n. 3502/2025, la Suprema Corte affronta, ancora una volta, la questione se sussista o meno il diritto del nascituro a non nascere se non sano.

Il fatto
In primo grado, i genitori del minore, in rappresentanza di quest’ultimo, avevano agito in giudizio contro l’Azienda Sanitaria Locale e gli eredi del medico per chiedere il risarcimento dei danni derivati al nascituro da negligente prestazione professionale del sanitario durante la gravidanza. Gli attori lamentavano che il medico, non avvedendosi delle gravi malformazioni congenite che il nascituro presentava, non avrebbe consentito alla paziente di decidere se procedere o meno con l’interruzione della gravidanza, cagionando, quindi, al nascituro il danno derivato dalla sua nascita indesiderata e ledendo il diritto di quest’ultimo a non nascere se non sano.
Il Tribunale, pur riconoscendo la censurabilità dell’operato del sanitario e la sua responsabilità nei confronti dei genitori del nato, già affermata con altra sentenza in precedente giudizio, rigettava le domande degli attori avanzate in nome e per conto del figlio minore, rilevando che non si potesse configurare in capo al figlio un danno da nascita indesiderata.
Avverso tale sentenza veniva proposto appello, che, tuttavia, veniva rigettato con conferma integrale della sentenza di prime cure.
Veniva, infine, proposto ricorso in Cassazione; ivi il ricorrente osserva che il nascituro nato non è estraneo al contatto sociale relativo alla gestante ed alla struttura sanitaria e che l’intervenuta violazione del consenso informato – per omessa comunicazione delle condizioni del feto in danno dei genitori – si riverbera anche sullo stesso nascituro. Da ciò, conseguirebbe la violazione della L. 194/1979 e di cui agli articoli 2043 e 1223 cod. civ., con conseguente sussistenza del diritto al risarcimento dei danni patiti dal nato a cagione delle proprie condizioni di vita.
Ad avviso del ricorrente, inoltre, in forza degli artt. 2, 3, 29, 30 e 32 della Costituzione verrebbe in rilievo il diritto del nascituro sia a non nascere se non sano, sia a godere della propria vita senza pregiudizievoli limitazioni.
La decisione della Suprema Corte
La Suprema Corte ha ritenuto i motivi di ricorso e le pretese violazioni delle norme costituzionali e sostanziali insussistenti ed inammissibili.
La nascita di un bambino non desiderato può essere, dunque, considerata un danno risarcibile? Per la giurisprudenza sì. Si perviene a tale conclusione sul presupposto che danno risarcibile è il vulnus arrecato a una qualsivoglia situazione giuridica soggettiva attiva (diritto soggettivo assoluto, diritto soggettivo relativo, interesse legittimo), a condizione che tale situazione giuridica sia presa in considerazione dall’ordinamento, vale a dire sia direttamente o indirettamente tutelata da una o più norme di legge e che dalla lesione del diritto o dell’interesse sia derivata, per consequenzialità diretta, la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento (cfr.Cass. civ., sez. un., sentenza 22 luglio 1999, n. 500).
La modalità di valutazione della responsabilità medica
La responsabilità sanitaria è ravvisabile quando la nascita di un figlio avvenga contro la volontà del genitore, come nell’ipotesi di insuccesso di un intervento abortivo o di sterilizzazione (cfr. Cass. civ., sez. III, ordinanza 5 febbraio 2018, n. 2675), oppure quando la nascita di un figlio avviene secondo la volontà del genitore, volontà che, tuttavia, si è formata in modo viziato, come nell’ipotesi di omessa informazione circa le malformazioni fetali.
Nel caso di omessa diagnosi prenatale di malformazioni del feto, ricorrono ambedue i requisiti sopra indicati. Ricorre il primo, in quanto il diritto ad interrompere la gravidanza costituisce una situazione giuridica soggettiva attiva espressamente riconosciuta e regolata dall’ordinamento e ricorre il secondo, in quanto la soppressione del suddetto diritto (derivante, in tesi, da una incompleta informazione) lede il bene della vita rappresentato dall’interesse dell’individuo a pianificare le proprie scelte familiari ed a godere di un menage domestico conforme ai propri desiderata. (così, ex pluribus, Trib. Roma, sez. XII, 22 febbraio 2004).
Dalla nascita di un bambino malformato, senza una previa completa informazione sulle condizioni di salute del nascituro, possono derivare un danno alla salute (normalmente, sotto questo profilo, viene dedotta una sindrome depressiva, e, quindi, un danno biologico di natura psichica) ed un danno non patrimoniale per violazione del diritto costituzionalmente garantito (artt. 2 e 29 Cost.) a pianificare la propria vita familiare.
I soggetti legittimati ad ottenere il risarcimento
Il vero punctum dolens è, tuttavia, rappresentato dall’individuazione dei soggetti legittimati ad ottenere il risarcimento. Sul punto, la Cassazione, con sentenza del 2 ottobre 2012 n. 16754, aveva stabilito che qualora il medico ometta di segnalare alla gestante l’esistenza di più efficaci test diagnostici prenatali rispetto a quello in concreto prescelto, impedendole così di accertare l’esistenza d’una malformazione congenita del concepito, quest’ultimo, ancorché privo di soggettività giuridica fino al momento della nascita, una volta venuto ad esistenza, ha diritto ad essere risarcito da parte del sanitario con riguardo al danno consistente nell’essere nato non sano, e rappresentato dell’interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità, a nulla rilevando né che la sua patologia fosse congenita, né che la madre, ove fosse stata informata della malformazione, avrebbe verosimilmente scelto di abortire.
La Cassazione del 2012 prosegue stabilendo che il risarcimento del danno cd. da nascita indesiderata, scaturente dall’errore del medico che, non rilevando malformazioni congenite del concepito, impedisca alla madre l’esercizio del diritto di interruzione della gravidanza, spetta, dunque, sempre ai genitori del bimbo nato malformato, ma anche ai suoi fratelli, in virtù del principio di propagazione intersoggettiva degli effetti dell’illecito. Si deve presumere, infatti, l’attitudine di detti soggetti a subire un serio danno non patrimoniale da tale evento, consistente nella inevitabile minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione.
La pronuncia delle Cassazione SU del 2015
Tale orientamento, con la sentenza 22 dicembre 2015 n. 25767, fu corretto, infatti la Cassazione, a Sezioni Unite, sostenne che, quato ai soggetti legittimati, sebbene sussista l’astratta titolarità attiva dell’individuo, pur quando l’illecito sia consumato prima della sua nascita, non è configurabile, nel nostro ordinamento, il diritto del nascituro, venuto alla luce, a chiedere al sanitario il risarcimento del danno da vita “ingiusta”.
Il nostro ordinamento ignora il diritto a non nascere se non sano, e, comunque, non sussiste un nesso eziologico tra la condotta omissiva del sanitario e le sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della sua vita, tanto più che la “non vita” non costituisce un “bene della vita”: anche che per il bambino nato con una patologia grave è insostenibile la tesi del diritto a non nascere, ossia a rifiutare una vita segnata da malformazioni, tare e malattie e, come tale, indegna di essere vissuta .
Cos’è oggi il danno da nascita indesiderata
A seguito di tale pronuncia, quindi, con l’espressione “danno da nascita indesiderata” si intende solo quello patito dai genitori che vedano leso il proprio diritto di scegliere se e quando avere figli e quello derivante ai fratelli del nato malformato per il danno riflesso.
Sul piano della condotta illecita, in particolare, l’espressione “danno da nascita indesiderata” indica l’operato del medico che, sia con una condotta tecnicamente imperita, sia omettendo di informare la gestante, viola il diritto di uno o di ambedue i genitori a non avere figli, ovvero a non portare a termine la gestazione di essi.
Sia l’affermazione della responsabilità del medico per il caso di omessa informazione della gestante, sia la emersione del concetto di “danno da nascita indesiderata” sono stati il frutto di una elaborazione giurisprudenziale molto lenta, che ha dapprima negato la risarcibilità del danno, quindi l’ha ammessa con varie restrizioni, infine l’ha consentita, pur non riconoscendo il diritto del nato malformato a non nascere se non sano.
Conclusioni
Nel caso in esame, la Corte di legittimità, confermando il proprio orientamento (cfr. Cass. Sez. Un., 22 dicembre 2015 n. 25767 e Cass. civ., Sez. 3, n. 26426 del 2020) ha ribadito, dunque, come sia esclusa in via generale la possibilità di riconoscere un pregiudizio biologico e relazionale in capo al figlio, essendo per lui l’alternativa quella di non nascere, inconfigurabile come diritto in sé, neppure sotto li profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo. Ciò in quanto, come argomentato nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite del 2015, partendo dal concetto di danno conseguenza previsto dall’art. 1223 cod. civ, il danno patito dal nascituro nei casi come quello di specie consisterebbe nell’essere nato e, viceversa, l’assenza di danno sarebbe la “non vita”.
Ecco che, allora, si incorre in una contraddizione giuridicamente insuperabile: “la non vita non può essere un bene della vita”, essendo la vita il bene supremo protetto dall’ordinamento e non la sua negazione (ossia la morte).
Conclude, quindi, la Corte nell’ordinanza 3502/2025 affermando che “il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno consistente nella sua stessa condizione, giacché l’ordinamento non conosce il diritto a non nascere se non sano, né la vita del nato può integrare un danno-conseguenza dell’illecito del medico”.