Ci piace ritornare su una non recentissima Ordinanza della III Sezione della Cassazione Civile (la n. 26943 del 17/10/2024) ove con parole chiarissime la Suprema Corte sembra chiudere i conti su tutti quei contenziosi che si erano suscitati tra i familiari di soggetti affetti da demenza che contestavano le decisioni di Aziende Sanitarie, che richiedevano loro il rimborso per le spese assistenziali connesse ricovero del loro caro presso RSA.
Il fatto
La vicenda era legata al tentativo di farsi restituire ca. 25000 € da parte della figlia di un soggetto affetto da Alzheimer da parte della ASL che, secondo parte ricorrente, erano state ingiustamente versate quali spese di assistenza.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano la domanda in quanto l’appellante, secondo le Corti Territoriali, non aveva diritto alla gratuità delle prestazioni assistenziali, prevista soltanto per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale ai sensi dell’art. 3 comma 1 DPCM 14 febbraio 2001 e per quelle socio sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, ma non anche per quelle, come nella specie, di lungo-assistenza, destinate a persone anziane affette da malattie croniche e degenerative, essendo prevista per queste ultime, viceversa, la ripartizione complessiva forfettaria del costo complessivo, nella misura del 50% a carico del SSN e del 50% a carico del Comune con la compartecipazione dell’utente.
Ovviamente la ricorrente disponeva un ricorso in Cassazione
Il giudizio della Suprema Corte
La Suprema Corte, anche sulla base di sue precedenti decisioni, accoglieva il ricorso con motivazioni assai chiare affermando, tra l’altro:
Le prestazioni socio-assistenziali
In via generale, questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui “le prestazioni socio assistenziali “inscindibilmente connesse” a quelle sanitarie sono incluse in quelle a carico del S.S.N. e sono soggette al regime di gratuità; ne consegue la nullità di un accordo di ricovero comportante l’impegno unilaterale, da parte del fruitore del servizio, al pagamento della retta, non essendo la prestazione dovuta” (in tal senso, test. la massima di Cass. Sez. 3, 11/12/2023 n. 34590).
Con specifico riferimento ai soggetti gravemente affetti da morbo di Alzheimer, lo stesso arresto ha richiamato il precedente Cass. Sez. 1, n. 4558/2012 che aveva chiarito come “l’attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi dell’art. 30 della legge n. 730 del 1983, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto comunque dirette, anche ex art. 1 D.P.C.M. 8 agosto 1985, alla tutela della salute del cittadino; ne consegue la non recuperabilità, mediante azione di rivalsa a carico dei parenti del paziente, delle prestazioni di natura assistenziale erogate dal Comune”.
Prestazioni sanitarie congiunte a quelle assistenziali
Dunque, nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite “se non congiuntamente” alla attività di natura socio assistenziale, cosicché non sia possibile discernere il rispettivo onere economico, prevale, in ogni caso, “la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni -di natura diversa- debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità necessaria, essendo dirette alla “complessiva prestazione” che deve essere erogata a titolo gratuito, dimostrata la natura inscindibile ed integrata della prestazione: in tal caso, infatti, l’intervento sanitario- socio assistenziale rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all’assistito, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, secondo un piano di cura personalizzato”.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera ordinanza: