La Terza Sezione della Corte di Cassazione è recentemente intervenuta con una propria ordinanza (3429/2025) in tema di cumulo tra risarcimento e indennizzo da polizza privata infortuni, sul quale si era già precedentemente espressa, ribadendo la posizione di negazione del cumulo.
La vicenda ed i punti di interesse medico legale
Il caso riguarda un soggetto che, a seguito di incidente stradale, chiedeva al proprio assicuratore per gli infortuni il pagamento dell’indennizzo, che era rifiutato dal medesimo senza previa dimostrazione degli importi ricevuti dal responsabile civile. Non giungendo ad un accordo, erano adite le vie legali. Il Tribunale ordinava all’attore il deposito della documentazione riguardante la richiesta di risarcimento avanzata in ambito rca e la specifica dell’importo liquidato. Inevaso l’ordine, la domanda era rigettata sia in primo grado sia in appello. In secondo grado, la Corte ritenva che l’indennizzo dovuto dall’assicuratore contro gli infortuni non mortali e il risarcimento del danno alla persona assolvono un’unica funzione risarcitoria e non sono cumulabili.
In Cassazione l’attore censurava la sentenza d’appello nella parte in cui stabiliva che dal credito indennitario dovesse detrarsi quanto percepito dall’assicurato a titolo di risarcimento dal responsabile del sinistro.
Secondo gli Ermellini, il rischio che si avvera ma le cui conseguenze sono eliminate dal responsabile dello stesso determinano la cessazione dell’alea e, con essa, l’interesse dell’assicurato all’indennizzo, così trasformando il contratto in una scommessa.
Sempre secondo il Supremo Collegio, il motivo sarebbe infondato poiché all’esito di un danno la vittima o l’assicurato non possono risultarne arricchiti, secondo il principio di indifferenza del danno; l’addove un assicurato fosse indennizzato di un danno già risarcito ne conseguirebbe invece la violazione del principio indennitario.
Principio di indifferenza del risarcimento e principio indennitario
La Corte di Cassazione fa riferimento a due concetti fra loro collegati, ovvero il principio di indifferenza del risarcimento ed il principio indennitario
Il primo si applica nel diritto generale ed ha come funzione il ripristino della situazione patrimoniale del danneggiato, senza arricchirlo né impoverirlo.
Il principio indennitario è specifico del diritto assicurativo e stabilisce che l’indennizzo non possa superare il valore del danno effettivamente subito, evitando che l’assicurato ne esca in una situazione patrimoniale migliorata rispetto a quella del soggetto prima del verificarsi del sinistro e si applica alle assicurazioni contro i danni come già stabilito da una precedente sentenza della Suprema Corte.
La funzione di entrambi i principi è di evitare che il danneggiato e/o assicurato possa trarre un vantaggio economico dall’evento di danno, mantenendo la funzione riparatoria e non speculativa del risarcimento e/o dell’indennizzo.
Le tabelle di polizza
Sempre nel testo dell’ordinanza si legge:
“La polizza oggetto del contendere stabiliva che l’indennizzo per invalidità permanente fosse “accertato secondo i criteri e le percentuali previste dalla tabella allegata al d.p.r. 30.6.1965 n. 1124”. Se quindi li danno alla salute derivato dall’infortunio è stato risarcito da un terzo, viene meno li presupposto stesso dell’obbligazione indennitaria gravante sull’assicuratore. Le tabelle (ben undici) allegate al testo unico suddetto hanno ad oggetto l’invalidità causata dal danno biologico (art. 13 d.p.r. 38/2000). Dunque, li contratto copriva li rischio di danno alla salute”
Da quanto scritto, sembra che il Supremo Collegio ritenga che oggetto di valutazione nella specifica polizza non sia la capacità lavorativa generica ma il danno alla salute, forse considerando che le tabelle del D. Lgs 38/2000 intervengano rispetto a quelle del Testo Unico del 1965.
Se così fosse, questo potrebbe avere l’effetto di introdurre una sorta di franchigia nell’assicurazione infortuni, corrispondente al danno biologico tabellato, con un effetto su tutti i contratti che adottino le tabelle del T.U. 1965 e successive modificazioni; vi è da chiedersi, se così fosse, se il premio già versato sia effettivamente commisurato al rischio trasferito all’assicuratore.
La valutazione della menomazione derivata dal fatto illecito
L’ordinanza in oggetto porta a riflettere circa un tema storico, ovvero quale sia il valore dell’uomo ed il ruolo del risarcimento del danno alla persona. Quest’ultimo è necessariamente per equivalente e non ripristina realmente il soggetto alla situazione ante-sinistro; il denaro non è che uno strumento di ristoro che non potrà mai equivalere al bene perduto.
Il danno biologico e la capacità lavorativa generica sono costruzioni utilizzate per consentire una forma di risarcimento ma sono inesistenti nella realtà, dove ciò che esiste ed è valutabile è la menomazione, mentre i suoi riflessi sono difficilmente misurabili.
Le tabelle medico legali, a partire da Cazzaniga sino ad oggi, hanno avuto come riferimento la capacità lavorativa generica e, successivamente, il danno biologico.
Nei criteri di comune esperienza indicati negli atti dei congressi di Como e Perugia (Giuffrè, 1969, pag. 77) si indica come primo criterio che “Le percentuali di invalidità indicate si intendono riferite alla capacità lavorativa generica, intesa quale attributo dell’uomo medio”.
Tuttavia, nella transizione dalla capacità lavorativa generica al danno biologico i valori restarono sostanzialmente immutati.
Luvoni e coll. in proposito, nella quarta edizione della propria Guida del 1990 scrivevano, con riferimento alla tabella del 1969, che “essa mantiene, per la gran parte delle « voci » ricomprese, la sua validità sostanzialmente per due motivi; in primo luogo perchè fu sin da allora impostata sul danno biologico ed in secondo luogo perchè il riferimento al valore medio di capacità lavorativa in realtà non rappresentava per quel tempo che il modo di consentire la risarcibilità, nell’ambito del danno patrimoniale, anche di menomazioni che con la capacità lavorativa di fatto non avevano a che fare” (cfr Luvoni et al. Giffrè 1990 IV edizione).
Vi è da chiedersi se i Giudici della III sezione civile abbiano tenuto conto di questa evoluzione nell’elaborazione della propria ordinanza.
Conclusioni
L’ordinanza 3429/2025 solleva questioni fondamentali per il settore assicurativo e medico-legale, ponendo al centro l’oggetto della tutela della polizza infortuni.
Se si accogliesse l’interpretazione secondo cui tali tabelle effettivamente misurino il danno biologico, ciò comporterebbe, per gli assicurati, l’introduzione di fatto di una franchigia implicita, poiché determinerebbe la detrazione dall’indennizzo, fino alla concorrenza, di quanto già percepito a titolo di danno biologico. Si porrebbe, inoltre, la questione se i premi attuali siano effettivamente commisurati al rischio trasferito e se non sia il momento di elaborare nuove tabelle, considerato che è pressoché un quarto di secolo che l’Assicuratore Pubblico ha abbandonato le Tabelle del Testo Unico del 1965.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera ordinanza della Cassazione: