Abbiamo già avuto modo in più occasioni di portare all’attenzione dei nostri lettori gli aspetti, emergenti possiamo dire, di quella responsabilità amministrativa che deriva dal danno indiretto arrecato ad una Azienda Sanitaria pubblica ogni qualvolta eroghi un risarcimento a favore di un paziente danneggiato, orami noto come danno erariale verso il quale il professionista sanitario deve risponderne avanti alla Corte dei conti.
Una sentenza piemontese
Una ennesima e interessante sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte, con la sentenza n. 2/25 del 17/01/2025, ribadisce alcuni concetti che devono essere noti a noi medici legali, ma anche a tutti gli operatori sanitari, quando si affronta un giudizio di tal genere.
Il fatto
Il fatto storico riguarda una prestazione sanitaria erogata presso una ASL nell’ormai lontano 2013, ossia un un’epoca antecedente all’entrata in vigore della Legge 24/2017. Un paziente accede in PS, per poi essere ricoverato in reparto, a seguito di una sintomatologia dolorosa toraco-addominale accompagnata da parestesie ed ipostenia all’emisoma destro. Un TC escludeva la dissezione aortica ed il paziente era ricoverato in neurologia. Per la persistenza di dolori toracici era chiamato in consulenza il cardiologo che, dopo una prima fase valutativa clinica e strumentale, poneva il dubbio di infarto miocardico e quindi prescriveva una terapia a base di antiaggreganti e anticoagulanti.
Il paziente sviluppava poi una paraplegia completa a livello di T2 per la presenza di un ematoma midollare. A seguito di vari accertamenti tecnici operati sia in fase di definizione risarcitoria che in sede di CT penale per conto del PM, al paziente era erogato il risarcimento. A causa di tale esborso, il neurologo ed il cardiologo erano chiamati in giudizio dalla Procura contabile.
Gli elementi della posizione ormai consolidata della Corte dei Conti in questa materia
- La nomina di un Collegio di CTU composto da specialista in Medicina Legale e specialista clinico della branca di cui si discute, ai sensi dell’art. 15 della Legge 24/2017, non è applicabile al giudizio amministrativo contabile, essendo circoscritto ai procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria. Comunque, la nomina di un solo CTU non può essere considerata causa di nullità o di inaffidabilità dell’elaborato peritale;
- La Legge 24/2017, in assenza di una norma transitoria, non ha efficacia retroattiva;
- La transazione con cui avviene il risarcimento del danno non è fonte di interruzione del nesso di causa tra la condotta sottoposta a giudizio ed il danno erariale. Tale vincolo è spezzato solo quando la transazione stessa assume una valenza autonoma causale del danno erariale e quindi quanto è eccezionale, irragionevole, illogica, contra legem, abnorme o abbiano comportato la liquidazione di poste di danno non dovute;
- Il cardine del giudizio amministrativo contabile comincia dall’antigiuridicità della condotta addebitabile all’operatore sanitario sia sotto il profilo della sussistenza di un idoneo nesso causale che della gravità della colpa. Nella responsabilità sanitaria la responsabilità si sostanzia nell’accertamento della violazione di regole specifiche di condotta, da valutarsi con criterio ex ante ed in termini oggettivi;
- L’esistenza del rapporto causale, causa-effetto, deve ispirarsi al principio della causalità adeguata o della regola causale, tale per cui ognuno è responsabile solo delle conseguenze della propria condotta, conseguenze che siano sufficientemente prevedibili al momento in cui ha agito, escludendo quelle conseguenze imprevedibili o atipiche;
- La forza del rapporto causale, anche in sede contabile, segue la legge della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”;
- L’elemento soggettivo della condotta, accertati i punti precedenti, risiede nella gravità della colpa. In sede contabile sussiste solo la colpa grave che si configura come “errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione”, ovvero di difetto di quel minimo “di perizia tecnica che non deve mai mancare in chi esercita la professione medica”, oppure ancora in presenza di “ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari affidati alle cure di tali prestatori d’opera”.
Giudizio ex ante e concetto di “colpa grave”
Questo elenco porta con sé ulteriori inviti a chi, tra noi, svolge un ruolo da CTP o da CTU: il concetto è la violazione di condotte esigibili secondo le regole della professione medica, secondo una valutazione ex ante, rifuggendo dall’“affascinante” senno del poi e da fatti od elementi soggettivi o soggettivizzanti.
Soprattutto, e questo è granitico nel giudizio contabile-amministrativo, ciò su cui si deve riflettere è il concetto di gravità della colpa, che deve essere ben circostanziato al fatto specifico, contestualizzando la realtà sanitaria ove si è prestata l’attività e la condotta intesa come attività sanitaria svolta (o che doveva svolgersi) sul paziente, in linea con le attuali conoscenze della disciplina medica, il tutto però sempre secondo il criterio ex ante.